La pasta del Piemonte

Nella cucina piemontese, i primi piatti hanno un ruolo fondamentale nella creazione di una tradizione culinaria conosciuta in tutto il mondo. Zuppe, risotti, ma soprattutto pasta fresca. Che sia ripiena o no, non cambia l’essenza di quello che è un piatto che fa da padrone sulle tavole locali. I formati sono fra i più svariati e uniscono le origini povere e contadine a quelle sfarzose delle corti nobiliari.

 

Uno dei piatti più iconici è il famoso agnolotto del plin che deve il suo nome al pizzicotto che si dà quando si chiude la pasta attorno al ripieno. Tipico del territorio delle Langhe servito tradizionalmente con burro e salvia ma anche con sughi di arrosti e ragù. Non mancano i ravioli, di carne o di magro, a cavallo fra il Piemonte e la Liguria. Meno conosciuti, ma molto apprezzati anche i  ravioles della Valvaraita che, a dispetto del nome, sono gnocchi tipici della zona montana della provincia di Cuneo.

 

 

Un formato di pasta che sicuramente non manca mai è però il tajarin. Diffuso e originario del territorio di Langhe Roero e Monferrato, ha ormai conquistato tutti i palati. Una pasta dal colore giallo intenso, dato dalla cospicua presenza di tuorli d’uovo. Chiamati anche taglierini, sono lunghi e sottili. Si accostano a condimenti corposi come il tipico sugo d’arrosto ma anche alle note delicate del burro accompagnato dal Tartufo bianco d’Alba, inoltre il tajarin presenta una grana ruvida che permette al sugo di legarsi bene alla pasta per non lasciare nulla sul piatto.

 

I tajarin sono originari delle cascine delle Langhe e del Monferrato. Intorno al Quattrocento si usava realizzare questa pasta fresca in occasione dei giorni di festa, come la domenica o le ricorrenze più importanti. Una ricetta da festa proprio per l’elevato numero di tuorli che contiene. La tradizione vuole infatti che sia presente almeno un tuorlo per ogni etto di farina. la famosa versione 40 tuorli prevede appunto 40 tuorli per ogni chilogrammo di farina. proprio quest’ultimo elemento varia in base alla zona di provenienza. Se quella classica è la farina 00, in alcune zone come Ceresole d’Alba, si impiega anche quella di mais.

 

 

Un piatto così gustoso non poteva che essere apprezzato anche dal re Vittorio Emanuele II che li amava particolarmente conditi con burro, strutto, panna, formaggio, animelle, vino bianco, cipolla e prosciutto cotto. Sono le donne, come spesso accade a custodire gelosamente per molti secoli questa ricetta. Una tradizione di famiglia che vede il suo passaggio dalla sfera contadina a quella industriale nel corso della storia, ma che non ha mai perso la sua valenza di unione.

 

Seguendo la ricetta originale, i tajarin vanno preparati esclusivamente a mano: pasta tirata al mattarello e poi tagliata a coltello. Persino il condimento ha delle regole che vanno rispettate. Le donne delle Langhe e del Monferrato avevano i loro segreti, spesso fatti di aromi ed erbe. Il sugo era tendenzialmente a base di frattaglie di pollo o coniglio, ma anche ragù di vitello e tartufo. Ancora oggi questi accorgimenti vengono rispettati e, come vuole la tradizione, i tajarin sono una ricetta da festa che accompagna le domeniche in famiglia e le festività.